Facebook e Instagram chiusi in Europa: che cosa succede spiegato in breve.

Il tam tam sull’addio di Facebook e Instagram all’Europa è nato da un’interpretazione abbastanza superficiale del documento inviato alla Sec.

C’è molta fantasia nei titoli sulla possibilità che Meta possa chiudere Facebook e Instagram in Europa. Che del resto, col mercato cinese già fuori gioco e quello russo senza chance, vorrebbe un po’ dire che Zuckerberg avvallerebbe l’idea di confinare i suoi prodotti al solo mercato americano, e all’incertezza di quell’India che intanto ha bannato TikTok.
L’ipotesi, insomma, è più per far chiasso che per raccontare cosa sta succedendo veramente alla più grande azienda di social network al mondo. Ma andiamo con ordine.

Il documento alla Sec

Tutto è nato da un documento inviato da Meta Inc. alla Sec (Security and Exchange Commission), l’autorità americana garante del mercato. All’interno di questo documento c’è una frase ballerina che si presta alle interpretazioni, quando da Meta scrivono che in assenza di nuove regole che consentano il flusso dei dati tra Europa e Stati Uniti, probabilmente

«non saremo più in grado di offrire alcuni dei nostri prodotti e servizi più importanti, compresi Facebook e Instagram, in Europa, fatto che influirebbe materialmente e negativamente sulla nostra attività, sulla nostra condizione finanziaria e sui risultati delle nostre operazioni».

Una specie di minaccia, neanche troppo velata. Anche in virtù delle migliaia di dipendenti europei di Meta, ai quali dovrebbero aggiungersi presto 10mila nuovi assunti per lavorare al Metaverso.

La smentita di Meta

Quando però la frase contenuta nel documento inviato alla Sec è diventata un titolo, il tam tam in rete è stato immediato. E in molti si sono chiesti se veramente Facebook e Instagram fossero pronti a dire addio al mercato europeo.Tanto che dall’azienda di Menlo Park è arrivata una smentita:

«Non abbiamo assolutamente alcun desiderio e alcun piano di ritirarci dall’Europa. Semplicemente Meta, come molte altre aziende, organizzazioni e servizi si basa sul trasferimento di dati tra l’Ue e gli Stati Uniti per poter offrire servizi globali. Come altre aziende, per fornire un servizio globale, seguiamo le regole europee e ci basiamo sulle Clausole Contrattuali Tipo (Standard Contractual Clauses) e su adeguate misure di protezione dei dati».

Lo stesso portavoce di Meta ha precisato:

«le aziende fondamentalmente hanno bisogno di regole chiare e globali per proteggere a lungo termine i flussi di dati tra Stati Uniti ed Ue, e come più di 70 altre aziende in una vasta gamma di settori, mano mano che la situazione si evolve, stiamo monitorando da vicino il potenziale impatto sulle nostre operazioni europee».

Il nodo dei dati

Il succo della vicenda, insomma, è che in Meta sono sicuramente preoccupati di quanto sta succedendo in Europa in chiave gestione dei dati, ma allo stesso tempo non pensano di lasciare il mercato (che per Zuckerberg e i suoi sarebbe una specie di suicidio, considerato che nel quarto trimestre del 2021, circa 309 milioni di persone in Europa hanno utilizzato Facebook quotidianamente).Il nocciolo della questione è la sentenza della Corte di Giustiza Europea con la quale è stato reso non valido il Privacy Shield, e cioè l’accordo fra Bruxelles e Washington per il trasferimento dei dati fra Stati Uniti ed Europa.

Un accordo che avrebbe consentito a società come Meta di utilizzare il flusso di dati europei su server americani. La sentenza della discordia è del luglio 2020, e da allora non è stato trovato un nuovo accordo. Da qui le preoccupazioni di Zuckerberg.

Un’interpretazione superficiale

Ma allora come è nato il tam tam sull’addio di Facebook e Instragram all’Europa? Probabilmente da un’interpretazione abbastanza superficiale del documento inviato alla Sec. Meta Inc., infatti, come ogni altra azienda americana del genere, è di fatto obbligata a segnalare alla Sec ogni possibile preoccupazione circa il suo piano di business. E infatti nello stesso documento è scritto che fonte di preoccupazione sono anche: «il fallimento di uno dei nostri prodotti»; «la ridotta disponibilità di dati a disposizione dei nostri strumenti di marketing e pubblicitari»; «una copertura mediatica sfavorevole e altri rischi che influenzano la nostra capacità di mantenere e incrementare i nostri marchi».

Terremoto rientrato. Per ora.